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lunedì 15 dicembre 2008

1084 dal Regio Fisco sotto il Casato dei Barberio-Toscano

Il nuovo Barone si rivelò un uomo malvagio e soprattutto rapace, degno continuatore della stirpe dei famosi “lupi” che dissanguarono i nostri più lontani antenati. Spinto dalla cupidigia di acquistare il feudo, piano che gli riuscì nel 1804, non mancò, come Regio Conduttore prima e come barone poi, di rendere dura la vita ai coloni che già avevano perduto, a seguito dei diversi passaggi di amministrazione, molti diritti sui terreni feudali: di pascolo, delle acque, di allignamento ecc.Mentre i Borboni, per quanto fiscali, lasciavano vivere, il nuovo padrone si abbandonò ad ogni sorta di iniquità e di violenze che alimentavano le sofferenze degli abitanti del feudo e finirono per determinarne la ribellione. Incominciarono a protestare apertamente e nel 1796, quando Napoleone si affacciava in Italia, si mandò una delegazione a Napoli per rappresentare al re le misere condizioni di vita delle nostre popolazioni. A guidarla troviamo la figura di un coraggioso assertore dei diritti popolari, il sacerdote don Vincenzo Arcuri di Savelli all’epoca casale di Verzino, persona dotta e stimata da tutti per la sua condotta esemplare. La protesta irritò non poco il feudatario, che si vendicò in maniera spietata sul povero sacerdote. Fattolo catturare dai suoi scherani, venne esposto ad un feroce martirio.Si racconta che, fatti piantare due grossi pali per terra, ve ne fece legare un terzo di traverso, ad uso delle “Forche Caudine”. Cavalcò il povero sacerdote su un mulo con mani legate dietro la schiena e piedi legati sotto la pancia dell’animale. Dopo di che la bestia veniva sollecitata a passare sotto il giogo. Il povero sacerdote, ricevendo l’asse trasversale nello stomaco e non potendolo evitare, ebbe spezzata la schiena. Morì dopo lunga agonia. Altro episodio rivelatore dell’efferatezza e della mancanza di ogni spirito di carità nell’animo del feudatario è il seguente. In quegli anni, quando per le pessime annate agrarie la gente si nutriva di erbe raccolte nei campi, di focacce di lupini e di castagne, questo scellerato Nicola Barberio Toscano vendeva le sue riserve di grano ai Crotonesi per migliaia di tomoli.... La nobile figura del sacerdote Arcuri cadeva nel marzo del 1796; bisogna arrivare al 1812 per chiudere il lungo e sanguinoso elenco di vittime divise fra filo-borbonici e filo-francesi le quali, mescolando odi familiari e interessi privati, pagavano con atroci delitti un largo contributo di sangue alle lotte dei tempi, col miraggio di poter disporre, con l’applicazione della Legge eversiva della feudalità, di un pezzo di terra per sopravvivere.Cadono nella lunga lotta, durata ben 17 anni, cittadini, artigiani, sacerdoti, funzionari, molte donne. Questo sconvolgente periodo storico viene ricordato negli scritti degli storici come Primo brigantaggio in riferimento al Secondo che si riaccende dopo l’Unità d’Italia (1861).Il Congresso di Vienna e la conseguente restaurazione borbonica riportano il problema dell’occupazione delle terre allo stato precedente. Anche la ventata rivoluzionaria del 1848 viene intesa più che in senso politico-nazionale in senso economico-sociale. Per le nostre popolazioni era sempre vivo il problema delle terre e i moti rivoluzionari offrivano un’occasione favorevole per riprendere l’occupazione arbitraria delle terre già iniziata nel 1806 a seguito della Legge eversiva della feudalità. Il disordine, l’anarchia feudale, furono tali in quel periodo che ancora oggi si ricordano nel popolo con un senso di umorismo. Ne conseva memoria l’espressione “ è successo u quarantottu” cui si ricorre ancora oggi in presenza di situazioni confuse. Tra i tanti episodi significativi, eccone due che riguardano più da vicino le nostre zone. “... un tale Marco Marasco, detto “Marcuvisc”, contadino di Savelli, approfittando della situazione confusa, pensò bene di rendersi padrone della mandria del signor Giuseppe Maria Oriolo di Verzino. Portatosi a Camastrea, fugò i pastori che custodivano il numeroso gregge e lo guidò verso contrada Pino Grande, terreno comunale... Soddisfatto poi dell’opera compiuta, adunò attorno a sé i suoi numerosi figlioli e con lacrime di gioia disse loro: - Vi ho procurato la ricchezza, se ve la sapete mantenere, è vostra -. I figli, purtroppo, non seppero, né potettero far tesoro del poco saggio ammonimento paterno poiché, ristabilitosi l’ordine, la mandria tornò al legittimo proprietario”.L’altro episodio accaduto nel vicino Marchesato di Crotone lo leggiamo in G. B. Maone “... il 15 luglio del 1848 vengono sottratte al barone Baracco 15 mila pecore, in gran parte merinos, mille vacche, 600 animali cavallini, 600 bovi d’aratro, capre e porci..., vengono depredate perfino le scuderie con gli stalloni di razza, provocando un danno di oltre 200 mila ducati”.Si torna ancora a sperare con l’arrivo dei Mille, allorquando Garibaldi, il 30 agosto del 1860, proclamava da Rogliano l’uso gratuito del pascolo e della semina delle terre demaniali. Ma il proclama, il successivo 5 settembre, veniva revocato. Gli avvenimenti del 1860, del 1861 (proclamazione del Regno d’Italia) e degli anni successivi, “confondono nuovamente le idee ai nostri antenati, i quali, contemporaneamente, diventano briganti contro i Piemontesi, Guardie nazionali e Squadriglieri per combattere i briganti, combattenti nella Terza Guerra per l’Indipendenza contro l’Austria, a fianco dei Piemontesi”.Le leggi dello Stato Unitario sull’alienazione dei beni ecclesiastici non appagano la lunga e sofferta speranza e 80 anni di lotte: le terre, anziché ai contadini, vanno ad ampliare il già vasto latifondo baronale e i baroni, alla solita maniera, le danno in fitto e chiamano a zapparle i contadini. Praticamente si torna indietro all’incirca alla fine del 700: al divieto dell’uso delle acque, di allignare al secco e al morto, di passaggio, di pascolo ecc.http://www.galkroton.it/verzino/default.asp

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