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sabato 13 dicembre 2008

Verzino,Feudo sotto i Cortese

L’avo di questa discendenza, un tal Capitano Cortese, romano, annoiato delle sofferenze militari, per quieto vivere partivasi da Roma e veniva a finire in Cariati, dove stringeva amicizia col Principe Spinelli, feudatario di questa città. Un giorno il Principe ebbe bisogno di molto denaro e, non disponendo di tale somma, amichevolmente confidò la sua ambasciata a Capitan Cortese, personaggio oltremodo ricco per una straordinaria circostanza. Nel tempo che abitava a Roma, alloggiò in un palazzo il cui padrone e la famiglia tutta, erano periti di colera. Prima che fossero distrutti dal morbo, avevano nascosto ogni loro tesoro in una stanza la cui porta era simulata da un’immagine dipinta su una tela.Per sua ventura il tesoro fu scoperto dal Cortese che diventò così molto ricco. Diede pertanto al Principe amico il denaro di cui necessitava. Quando, trascorso molto tempo, questi volle restituire la somma, Capitan Cortese non l’accettò, facendo notare che non era il caso di preoccuparsene.Si racconta che il principe Carlo Antonio Spinelli, colpito da tanta generosità, per gratitudine, cedette a Capitan Cortese il ducato di Verzino con tutti i suoi diritti ducali. Divenuto Duca, il Cortese recossi subito in Verzino e là costruì il Palazzo del Campo.Nel racconto vediamo aleggiare la fantasia del nostro popolo, ma come ogni racconto popolare ha il suo substrato storico, anche in questo vi è un fondo di verità. Ne troviamo conferma nel Cedolario n°74(anni 1639-1695) dell’Archivio di Stato di Napoli “... il 22 di marzo del 1668 vendita et alienazione fatta da Carlo Antonio Spinelli, Principe di Cariati e Duca di Castrovillari, a beneficio di Leonardo Cortese della Terra di Verzino... per ducati 50.000”.Da un altro manoscritto si apprende, invece, che il Cortese, acquirente del feudo di Verzino, lungi dall’essere un generoso e sfaticato Capitano, era un intraprendente fornaio, che trasse la famiglia dall’oscurità commerciando oggetti di poco valore. Leonardo Cortese, il fornaio Barone, per poco tempo poté godere gli agi della ricchezza e della nobiltà, in quanto nel dicembre del 1675 cessava di vivere. Ne ereditava la baronia col relativo titolo, il figlio Niccolò Cortese.Carlo Giuranna, della vicina Umbriatico, appassionato cultore della storia dei nostri luoghi, così ne tratteggia la figura: “...uomo robusto, maneggiava le armi da fuoco con arte particolare, tanto da colpire, con una palla, i vasi d’acqua che le donne portavano sulla testa, senza queste ferire... e addosso sempre portava, quando usciva di casa, il suo pistone. Esercitava un perenne dispotismo sopra i beni e le persone degli abitanti di Verzino... teneva un orrido carcere dove, senza querela di parte, senza processo, senza ordine di giudice, chiudeva i poveri disgraziati ad anni interi e si scordava così degli innocenti come dei rei. Ai rivoltosi minacciava la morte perché tenea una manica di malandrini a suo servizio”.“Questo bel tipo di delinquente”, nel 1693, fu incoronato Duca di Verzino per graziosa concessione di Re Carlo II Borbone. Divenuto Duca, aumentarono le sue nefandezze.E ancora il Giuranna: “...un gentiluomo di quel tempo, Petruzzo Giglio, mal soffrendo gli aggravi, manifestò i suoi sentimenti ad un crocchio di amici. Le parole vennero riferite ed il castigo no si fece attendere. Dopo pochi giorni, ritirandosi detto Giglio dalla Salina di Miliati, quando fu in un luogo ove si dice il cancello di Frea, gli fu sbarbicata con tutte le sue radici la lingua”.Questo bel tipo di don Rodrigo nostrano governò, per ben 56 anni, sino a tardissima vecchiaia morendo nell’agosto del 1731.Gli succedeva il figlio Leonardo che moriva dopo pochi anni nel 1734. Terzo ed ultimo Duca di Verzino, diventò Niccolò II che si rivelò della stessa indole dei suoi antenati “serie di tirannelli ed aguzzini l’uno peggiore dell’altro”. Si racconta che percosse in così violento modo il sacerdote don Antonio Cavallo, fratello dell’Arciprete della Terra di Verzino, sol perché non aveva immediatamente eseguito un suo ordine.Bersagliò poi le famiglie più in vista per censo, gli Scerra, i Cavallo, i Figoli, che furono costrette a cercare rifugio nei paesi vicini. Dette famiglie avevano subito e subivano prepotenze ed umiliazioni, ma ciò non faceva che accrescere il loro odio magnificamente simulato. Ritorneranno a Verzino quando, dopo non molto e con il loro aiuto, il Feudo veniva confiscato al Duca Cortese e passava al Regio Fisco.“Come i nobilucci verzinesi rodevano il freno, anche nel popolino si notava un certo incoraggiante risveglio e in Verzino e nei paesi vicini.” Si racconta che il giovane Duca volle, un giorno, sperimentare la mansuetudine dei Carfizzoti, allorché “per la sommossa di quei terrazzani, al comando dei militi, venne inviato in quel paese. La plebe di quel villaggio albanese, stanca delle sue prepotenze, lo assalì nella casa della famiglia Basta, ove aveva preso stanza e, non potendo averlo fra le mani perché barricatosivi, ammucchiò contro l’uscio delle fascine dandovi fuoco. Al crepitare dell’immane fiammata, il Duca Nicola si vide perduto ed allora, contando sul profondo sentimento religioso di quel popolo, scese da una finestra, tenendo fra le mani un quadro della Beata Vergine e con questo implorò perdono. Lo stratagemma riuscì...” e gli salvò la pelle!Il Duca era anche un uomo a cui piaceva il lusso e lo sfarzo. Per mania di grandezza fece eseguire diverse opere, per cui si ebbe l’impressione che Verzino nascesse a nuova vita. La coorte ducale era allietata poi dalla presenza di una nobile e bella Principessa, donna Violante Minutoli, di appena 23 anni, di illustre famiglia messinese che aveva già dato al suo consorte 2 figlioletti, Clelia di anni 9 e Giuseppe Antonio di anni 6. La principessa, perciò, era diventata Duchessa di Verzino all’età di 14 anni circa.Don Nicola fu duca di Verzino fino alla venuta di Re Carlo III di Borbone, per decreto del quale il Feudo gli veniva confiscato sotto l’accusa gravissima di “fellonia” Così ce lo racconta il sacerdote Rotundo nel citato manoscritto: “Dopo l’occupazione del regno di Napoli da parte di Re Carlo III Borbone, unironsi il Principe di Monteleone (odierna Vibo Valentia), il Principe di Cariati ed il Duca Cortese di Verzino per tentare, come diremmo noi, un colpo di stato a favore dei passati dominatori (gli Austriaci). La congiura fu scoperta e Re Carlo intimò ai ribelli di presentarsi a lui per discolparsi. I due Principi obbedirono e furono perdonati; il Duca, fiero e sdegnoso, si ricusò onde fu dichiarato contumace e nemico dello Stato. Il Re, poi, impermalito dal suo modo di procedere, mandò i suoi soldati ad arrestarlo e a confiscare il feudo. Il Duca, vedendosi in cattivo partito, fuggì. Sarebbe caduto in mano dei suoi odiati nemici se, per consiglio di uno dei monaci del Convento di San Domenico di Verzino, non fosse ricorso all’espediente di Caco: ferrare il suo mulo con i ferri all’opposto, in modo che i soldati, ingannati dalle piste, non lo avessero cercato nel luogo donde era fuggito. Pervenuto poi a Salerno, veniva di nuovo scoperto e si salvò, ancora una volta, travestendosi da Vescovo. Dopo fu in Ungheria, né più nulla si seppe di lui. I soldati borbonici, pervenuti in Verzino, presero possesso del palazzo e dell’intero feudo, compresa la Fratta ove il Duca teneva la sua caccia riservata. La povera e sconsolata Principessa, donna Violante, fu maltrattata ed inviata a Messina, sua città natale”.Quale fosse la vera ragione che spinse il Duca Niccolò Cortese alla lotta ad oltranza contro il re Carlo III, ce lo rivela il suindicato storico Salvatore Spiriti: “...si lasciò adescare dalla propaganda austriaca per aver dato fondo ad ogni suo avere nei bagordi e nel lusso e perciò sperava di migliorare la sua sorte giocando in politica”. Per sua disgrazia e per fortuna dei nostri avi, puntò tutto sul cavallo perdente...Concludendo ci piace far conoscere cosa ne pensassero, quali maggiori interessati, i nostri padri, del Duca ribelle, Nicola Cortese. In un modesto foglio che si accompagna al Catasto Onciario del 1753, conservato nell’Archivio di Stato di Napoli, si lamentavano del feroce sfruttamento e delle vessazioni subite ad opera del loro Feudatario che, “per la sua cattiveria”, aveva meritatamente perduto il Feudo.Il popolino, da parte sua e con la solita mordace ironia, compose e canticchiò:“U Ruca i Verzina è male natu,E’ male natu e di mala natura...Mo puru Marcu ‘Rande c’è chiavatu,chi piglia ppe ra capu, chi ppe ra cuda...”dove “male natu e di mala natura” significa che Niccolò Cortese discendeva da una pessima schiatta ed era di indole malvagia. Marco Grande, infine, era il ducale guardiano della Fratta. In tutto simile al suo padrone, “teneva un piede di bove , fatto di legno, col quale imprimeva delle orme bovine sul terreno affidato alla sua custodia. Dopo inveiva contro i massari e i bovari dei dintorni, contestando loro il pascolo abusivo...In tal modo, contando sul timore di quei tapini, arrotondava le sue entrate.”E’ questa, in sintesi, la storia feudale di Verzino ed anche la dolorosa storia di molti paesi della nostra Calabria. http://www.galkroton.it/verzino/default.asp

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